martedì 30 agosto 2011

PICCOLA STORIA DI DUE GRANDI SINDACALISTI

    C’era una volta un paese non felice ma vitale, dove la dignità del lavoro e dei lavoratori era garantita dalle leggi. C’erano accordi che valevano su tutto il territorio dello stato per i quali a parità di prestazioni il lavoratore doveva ricevere lo stesso stipendio, le lavoratrici madri venivano tutelate così come le malattie, garantito era anche il riposo settimanale e feriale riconosciuto addirittura dalla legge fondamentale dello stato.
     I lavoratori si tassavano mensilmente per tenere in piedi le organizzazioni sindacali che tutelavano i loro diritti ed in esse la gran parte dei lavoratori si riconoscevano. C’erano in particolare due grandi sindacati guidati da Diavoletti e Malanni, questi erano i nomi dei due capi sindacalisti.
     Un giorno il governo chiese ai due di accettare una deroga ai contratti per facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. I nostri due eroi accettarono che i giovani avessero contratti sottopagati e precarizzati, e non godessero dei diritti che le leggi e la consuetudine garantivano ai lavoratori di vecchia data, ma,  affermarono, è un sacrificio indispensabile, ne gioveranno tutti.
    Poi la più grande azienda del paese, che dava lavoro a migliaia di dipendenti, chiese che nei suoi stabilimenti, per garantire investimenti ed occupazione, non si dovessero applicare contratti e leggi. I due parlarono con i lavoratori, spiegarono che la globalizzazione, i rating, gli spread, e bla e bla, imponevano qualche sacrificio, però erano sindacalisti democratici e quindi l’ultima parola spettava ai lavoratori, che si sarebbero espressi con un referendum. I lavoratori messi di fronte alla scelta tra fame e rinuncia di diritti acquisiti scelsero, ma democraticamente, la seconda.
     Grande vittoria della democrazia, Vittoria del sindacato responsabile, Grande giorno per il paese, titolarono i giornali governativi e dichiararono i nostri due sindacalisti.
     E così di deroga in deroga le leggi restavano in vigore ma come gusci vuoti. I due grandi capi dei lavoratori erano gli eroi del giorno, giornali, radio, televisioni, si contendevano il privilegio di intervistarli, i due non si negavano a nessuno. Rappresentanti di un modo moderno di intendere il sindacato.

     Una mattina Malanni si alzò alla solita ora, guardò fuori dalla finestra i tetti delle case e i campanili lontani, dopo la doccia avvolto nel suo kimono, dono di un industriale coreano a cui aveva dato dei consigli, si apprestava ad addentare la ennesima fetta di pane tostato e imburrato, quando squillò il telefono, il nostro eroe era abituato alle chiamate a qualsiasi ora: giornali, ministri, televisioni, tutti lo cercavano, pensò potesse essere il ministro Spacconi che lo ringraziava per l’ennesima deroga ai permessi di maternità, potevano infatti ottenere il congedo per maternità solo le puerpere che avessero superato e sessanta anni di età. Oppure il ministro Crudetta della funzione pubblica con il quale stava mettendo a punto un nuovo accordo contrattuale che prevedeva l’abolizione dei servizi igienici negli uffici pubblici per abbattere i costi dell’acqua e  aumentare la produttività.
     Era invece il direttore della banca nella quale il  Malanni teneva il suo conto corrente, il quale lo avvertiva che due mesi non erano stato più accreditato lo stipendio di sindacalista. Il Malanni senza scomporsi rispose che certamente c’era stato un malinteso che avrebbe risolto tutto. Pensò di telefonare in contabilità, poi decise di passare dalla sede del sindacato, era tempo che mancava. In una sede semivuota e silenziosa, il Malanni andò difilato nell’ufficio contabilità, ed alle sue richieste di chiarimenti il capo contabile rispose che non c’erano soldi. E le trattenute degli iscritti? Non ci sono più iscritti. Ma dove stai andando? Vado via, ho accettato un lavoro in una azienda cinese.
     Il Malanni esterrefatto uscì dalla stanza, alla centralinista che stava andando via chiese dove andasse, a lavorare da Zara, rispose, pagano bene, spero che almeno ti iscriverai al sindacato. Neanche per sogno rispose lei uscendo.
     All’incirca la stessa cosa era accaduta a Diavoletti. Gli iscritti anziani avevano deciso di non rinnovare più la tessera ad un sindacato che non sindacava, i nuovi precari lavoratori pensavano che la trattenuta sindacale, per quanto modesta, fosse pur sempre una tassa insopportabile.

     Ma i due non caddero in miseria, come invece era accaduto a molti lavoratori da loro “protetti”.      
     Per  meriti patri ebbero la presidenza di due enti, inutili a tutti ma non a loro.
     Malanni, per una sorta di contrappasso, ebbe la presidenza del FMSS, l’acronimo sta per Fondo Museale Storia del Sindacato.  Un museo di una decina di stanze che nessuno visitava, il nostro eroe, unico dipendente, apriva la struttura alle nove di mattina e chiudeva alle quattro del pomeriggio. Costretto a passare da una sala all’altra ad osservare dipinti, foto, ritagli di giornale, storie di martiri e di sindacalisti famosi, dalla nascita del sindacato alla fine dovuta alla responsabilità di due sindacalisti di cui, per amor di patria, si omettevano i nomi.
     Diavoletti fu più fortunato ebbe la presidenza del EFS, qualcuno diceva che la sigla signicava E’ Finito il Sindacato, ma era una presa in giro, in effetti era più semplicemente Ente Fabbriche Spente, e si occupava della manutenzione di tutti gli opifici oramai inutilizzati.
     Questo, parafrasando Levi, è avvenuto e può ancora accadere.

domenica 28 agosto 2011

B & B E IL GIUOCO DELLE PARTI

    Nel programma di questa spuria alleanza che ci governa c’era anche l’abolizione delle province, non solo è stata una delle tante promesse non mantenuta, ma ne sono state create altre per tacitare potenti locali leghisti e non.
    Adesso il sig. Berlusconi afferma che secondo lui le province vanno abolite o tutte e nessuna, Bossi, il grande statista, dice invece che le province vanno mantenute.
    Alla fine non se ne farà nulla e tutto resterà uguale. Berlusconi potrà dire che voleva abolirle ma è stato bloccato, Bossi potrà invece affermare che grazie a lui le province sono state salvate.
    Continua tra i due B&B il giuoco delle parti mentre l’Italia affonda.

sabato 27 agosto 2011

CALDEROLI E LA REVERSIBILITA'

    Il ministro Calderoli ha affermato che le pensioni non si toccano, piuttosto ha detto tocchiamo le pensioni di chi non ha mai lavorato. Un brivido freddo ha percorso la schiena di politici ed ex politici, che parlasse di loro?
    Calma, il sig. Calderoli non intendeva intaccare i privilegi della casta di cui egli fa parte. Parlava di quelle di reversibilità, di quelle pensioni cioè riconosciute alle vedove di lavoratori, che pur avendo versato contributi per tutta la vita non hanno avuto molto tempo per godere la pensione.
    E’ vero queste donne non hanno mai lavorato, a meno che non vogliamo considerare lavoro l’aver lavato, stirato, cucinato per trenta/quaranta anni, aver educato figli, accompagnandoli a scuola, vegliandoli quando stavano male, aver accudito genitori e suoceri anziani ed inabili. Se questo non è un lavoro allora è giuste levargli le pensioni di reversibilità.

sabato 20 agosto 2011

ANCORA BOSSI E LA FINTA PADANIA

    Il grande statista Umberto Bossi nel suo discorso che passerà alla storia come il discorso del nano, per quello che ha detto di Brunetta certo, ma anche per la statura politica delle sue affermazioni, oltre ad aver paragonato Scilipoti, che nessuno al mondo ci invidia, con Rita Levi Montalcini, quella scienziata, che invece tutto il mondo ci invidia, ha detto anche altre cose gravissime, che ha ripetuto poi nel discorso di ieri.
    Il grande statista ha affermato che questa crisi segnerà la fine dell’Italia e quindi i padani dovranno essere pronti per la secessione.
    Mi aspettavo e mi aspetto ancora cori di critica dai grandi patrioti La Russa e Gasparri,  oppure qualche dichiarazione di condanna dal portavoce Cabezon. E Cicchitto? Non sente i morsi dell’amor patrio.
    Nulla, vuoto e silenzio, ma si sa Bossi è fatto così è carattere, ma poi una provincia salvata,  qualche finto ufficio ministeriale e tutto torna come prima.
    Ma vi immaginate una patria padana, cioè la parte più ricca ed evoluta d’Italia, guidata da Bossi, dal Trota, da Borghezio, roba da ridere.

venerdì 19 agosto 2011

BOSSI E IL NANO

    Io ho un’altezza nella media, almeno per quanto riguarda la mia generazione, quelle successive grazie alle migliori condizioni di vita sono più alte, ho avuto, tanto tempo fa, per due anni, un compagno di classe piuttosto basso, diciamo come il ministro Brunetta, era un tipino  alquanto antipatico, ci faceva pesare tutti i giorni il fatto che la sua famiglia fosse più che benestante, ed aveva della idee su neri ed ebrei che gran parte dei miei compagni di classe non condivideva.
    Ciò nonostante nei litigi e negli scontri che avevamo con lui non ho mai sentito nessuno apostrofarlo con l’epiteto di nano, per noi era semplicemente uno stronzo, e sarebbe rimasto tale anche se avesse avuto venti centimetri in più.
    Offendere e giudicare una persona per il suo aspetto fisico anziché per quello che fa e dice è una grave forma di razzismo, d’altra parte stiamo parlando di Bossi e della lega che hanno fatto del razzismo e della lotta alla diversità un loro cavallo di battaglia.
    Mi chiedo però se il sig.Brunetta abbia una qualche forma di dignità personale, nel governo del quale lui fa parte c’è chi lo chiama cretino (Tremonti), chi preferisce non ascoltarlo quando parla (Sacconi) chi gli da’ del nano, ma lui imperterrito continua a sedere tra i suoi amici di governo, preso com’è dalla lotta contro i suoi unici nemici: i dipendenti pubblici.

martedì 16 agosto 2011

TOTO' O MORTEO

    Nel mio ottimismo ho sempre pensato che  la stupidità abbia un limite, anche quella di marca leghista.
    Ma dopo la decisione del sindaco di Alassio, il leghista Roberto Avogadro, di eliminare la statua di Totò dal parco pubblico della cittadina ligure. non ne sono più tanto sicuro.
    Il sindaco afferma che Totò non avrebbe legami col territorio, ed al suo posto intende mettere una statua dedicata al conte Luigi Morteo, che avrebbe come unico merito della sua vita quella di aver lasciato una cospicua eredità al comune di Alassio.
    Io penso che ci siano tanti alassini, credo si chiamino così gli abitanti di Alassio, non solo quelli di origine napoletana, e sono tanti basta dare uno sguardo ai cognomi sugli elenchi telefonici, a cui Totò abbia strappato un sorriso oppure un motivo di riflessione.
    Al sindaco rispondiamo alla Totò: lei è ignorante si informi.  

giovedì 11 agosto 2011

RISTORANTE BELLA ITALIA

    C’era una volta il ristorante Bella Italia, aveva qualche migliaio di coperti, al centro un grande tavolo dove sedeva un uomo che aveva  da tempo superato la settantina,  i capelli posticci, sorrideva  sempre, al suo tavolo sedevano solo ragazze belle e giovani.
    C’erano poi altri tavoli, in particolare in uno leggermente appartato vi erano seduti avventori vestiti di verde, erano o si sentivano diversi dagli altri, avevano  modi come dire un po’ rustici, ma mangiavano come gli altri, amavano la polenta sopra tutto, ma non disdegnavano la coda alla vaccinara, sulla pizza napoletana avevano qualche perplessità, data la provenienza, ma la ingoiavano senza problemi.
    Si notavano anche altri avventori, seduto in un seggiolone un tale con un corpo da bambino e la faccia da adulto sgradevole, un altro con pizzetto e occhi luciferini  che ad ogni portata gridava Viva l’Italia.
Poi un tizio con l’aria da professorino, biondino e con gli occhiali, di tanto in tanto chiedeva ai suoi vicini: chi paghevà il conto, qualcuno gli rispondeva: che ti frega troveremo chi paga.
    C’era anche un tavolo vuoto, ma apparecchiato, non si capiva se  abbandonato o  in attesa di nuovi clienti.
    Fuori dal ristorante milioni di persone premevano per entrare, di tanto in tanto la persona anziana usciva e tra una parte di applausi e una parte di fischi, rassicurava la massa, anche grazie ad una serie di schermi posti strategicamente in più punti, che si stava lavorando per allargare il ristorante, che presto ci sarebbero stati milioni di coperti in più.
    Poi veniva fuori il piccolino con la faccia odiosa, a chi gli chiedeva da mangiare rispondeva che erano dei cretini perché non sapevano procurarsi il cibo, lui da piccolo si nascondeva nelle cassette di frutta ai mercati generali, e mentre gli altri, sottopagati, li trasportavano, lui mangiava la frutta.
    Tra la folla presente capitava a volte che qualcuno morisse, allora l’avventore dagli occhi luciferini usciva dal ristorante e diceva che il tale aveva  dato la sua vita per la patria, poi tornava dentro e riprendeva a mangiare.
    L’anziano dai capelli posticci era quello che usciva più frequentemente per rassicurare la folla, gli applausi erano sempre di meno ed i fischi sempre di più, qualcuno gli faceva notare che la dispensa avrebbe potuto svuotarsi, ma lui affermava  che la dispensa era la più ricca d’Europa e forse del mondo, non si sarebbe mai svuotata.
    Poi un giorno venne fuori il tale con l’aria da professore, tutti  zittirono per ascoltare le sue parole, iniziò  a parlare con la sua erre moscia:
“cavi concittadini puvtoppo la dispensa si è svuotata, e noi non siamo in gvado di pagave il conto salatissimo che ci hanno pvesentato. Ma confidiamo nella vostvo amov di patvia. E il conto vevvà diviso in pavti uguali sia tva chi ha mangiato sia tva chi è stato digiuno.”
    La storia non dice come finì, qualcuno afferma che la folla inferocita divorò il professore con tutti gli occhiali, poi entrò nel ristorante a mangiò tutti gli avventori, sputando il parrucchino e il pizzetto da lucifero.    Sembra che si salvò solo il piccoletto, nonostante fosse stato abbellito con prezzemolo e limone in bocca, nessuno ebbe il coraggio di addentarlo, era troppo brutto.
     Altri dicono che la storia finì in maniera  diversa, il popolo abbassò la testa  e divenne schiavo dei mangiatori. 
    Altri ancora propendono per finali meno cruenti e drammatici.  


lunedì 8 agosto 2011

DELOCALIZZAZIONE

Fino alla metà degli ottanta in provincia di Napoli c’era una media azienda calzaturiera, occupava circa 40 dipendenti tra impiegati ed operai, lavoratori con una buona specializzazione, come si trovavano allora a Napoli e non solo, nei settori delle calzature e  delle pelli.
     Intorno a questa azienda ruotavano altre attività: lavoranti a domicilio, trasporti, imballaggi, fornitori di tomaie solette e quant’altro.
     Produceva calzature di livello medio alto, l’80% della produzione era venduta in Italia il rimanente all’estero, in particolare Usa e Nord Europa.
     Fu all’incirca in quell’epoca che l’imprenditore cominciò ad acquistare tomaie e suolette dalla Cina, piuttosto che dai suoi abituali fornitori campani, li pagava la metà.
     Dopo qualche anno decise di delocalizzare, come si dice, la sua azienda in Romania, benefici fiscali, manodopera disponibile a basso costo, tutele sindacali neanche a parlarne, un paradiso per gli imprenditori.
    Chiuse l’azienda italiana, licenziò tutti i lavoratori portando al suo seguito qualche tecnico per istruire i nuovi operai rumeni.
     E così il bravo imprenditore cominciò a produrre in Romania. Le scarpe prodotte andavano però vendute, già ma dove, in Romania no di certo, il prezzo di un paio di scarpe equivaleva al salario mensile di un operaio,  le esportazioni in Usa e in Nord Europa languivano.
    E in Italia, il suo mercato d’elezione perché non vendeva?
    Il nostro imprenditore non era stato l’unico ad avere la geniale idea di cercare paesi dove trovare il maggior profitto al minor costo possibile, erano decine, centinaia di nostri patrioti connazionali, che forse tifano Italia ai mondiali, si commuovono alle note dell’inno di Mameli, ma davanti al profitto non c’è sentimento di Patria che tenga. E così avevano contribuito ad immiserire la loro terra, avevano aperto la strada ai cinesi nel mercato italiano, già perché l’operaio in cassa integrazione, o disoccupato o sottopagato acquista scarpe e magliette cinesi, forse meno belle di quelle italiane ma sicuramente più abbordabili dal punto di vista economico.
    Non so se questa storia sia vera ma sicuramente è verosimile.

sabato 6 agosto 2011

ARTICOLO 41 DELLA COSTITUZIONE

     Nei giorni scorsi il superministro dimezzato Tremonti, aveva affermato che la crescita economica non si può fare per legge, adesso sembra invece che basti inserire il pareggio di bilancio in Costituzione o riformare l’articolo 41 della stessa per risolvere i nostri problemi.
     L’articolo 41 della nostra Costituzione è da tempo sotto osservazione della  nostra classe di governo, è uno spettro che blocca il nostro sistema economico, si sa fu inserito in Costituzione da una mano bolscevica per distruggere l’iniziativa privata ed aprire la strada alla collettivizzazione forzata.
Ma è il caso di leggerlo, è formato da tre commi scritti in maniera molto chiara, la nostra legge fondamentale tra gli altri pregi ha anche quello del linguaggio chiaro e comprensibile, al contrario di decreti, leggi e leggine che siamo stati abituati a conoscere in cui si inserisce tutto e il contrario di tutto.

L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

     Nel primo comma L’iniziativa economica privata è libera mi sembra di poter dire che non ci sia lo zampino dei comunisti. E’ una dichiarazione di principio condivisa  da tutti.
     Non può svolgersi ( il soggetto è sempre l’iniziativa privata)  in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. In questo secondo comma  bisogna riconoscere che una mano catto-comunista ci sta.
     Questo comma è strettamente legato all’art. 2087 del Codice civile che recita L'imprenditore è tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
     Ultimo comma La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
     Allora  ci sono imprenditori che vogliono arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana? Che non hanno alcuna intenzione di tutelare l’integrità fisica dei lavoratori? Quindi  in parole crude, libertà di sfruttamento, senza alcuna tutela della sicurezza e della dignità, è questo che vogliono?

mercoledì 3 agosto 2011

PIETRO GORI I GIGANTI E I NANI

Chi sono i giganti?
     Sono gli uomini e le donne che hanno fatto l’Italia e la democrazia, innanzitutto quelli che hanno dato la vita. E dal risorgimento alla resistenza, e anche dopo, l’elenco è lungo ma potremo anche cominciare a farlo dedicando una serie di post.
Poi quelli che la vita l’hanno rischiata, i combattenti, i nostri padri costituenti; le donne e gli uomini sconosciuti: nei campi, nella scuole, nelle fabbriche.
Gli eletti del popolo, che, come ha ricordato di recente la Repubblica, dormivano nei conventi e nei treni, perché buona parte del loro stipendio di deputati e senatori andava alle organizzazioni di partito.
E i nani chi sono?
    Sono intorno a noi, basta ascoltare qualche dibattito parlamentare, qualche intervista televisiva, per rendersi conto della pochezza della nostra classe politica. Nulla sanno della  storia patria, unico interesse hotel a cinque stelle, auto di lusso, donne sempre più giovani.
     Ma i giganti dormono, non sono morti e i nani sono di passaggio, per dirla con le parole della lapide dedicata a Pietro Gori, poeta anarchico di cui ricorre quest’anno il centenario della morte:

 Dove dormono i giganti
 i nani di passaggio
 non si persuadono
 di essere stati preceduti
 da tanta grandezza