lunedì 8 agosto 2011

DELOCALIZZAZIONE

Fino alla metà degli ottanta in provincia di Napoli c’era una media azienda calzaturiera, occupava circa 40 dipendenti tra impiegati ed operai, lavoratori con una buona specializzazione, come si trovavano allora a Napoli e non solo, nei settori delle calzature e  delle pelli.
     Intorno a questa azienda ruotavano altre attività: lavoranti a domicilio, trasporti, imballaggi, fornitori di tomaie solette e quant’altro.
     Produceva calzature di livello medio alto, l’80% della produzione era venduta in Italia il rimanente all’estero, in particolare Usa e Nord Europa.
     Fu all’incirca in quell’epoca che l’imprenditore cominciò ad acquistare tomaie e suolette dalla Cina, piuttosto che dai suoi abituali fornitori campani, li pagava la metà.
     Dopo qualche anno decise di delocalizzare, come si dice, la sua azienda in Romania, benefici fiscali, manodopera disponibile a basso costo, tutele sindacali neanche a parlarne, un paradiso per gli imprenditori.
    Chiuse l’azienda italiana, licenziò tutti i lavoratori portando al suo seguito qualche tecnico per istruire i nuovi operai rumeni.
     E così il bravo imprenditore cominciò a produrre in Romania. Le scarpe prodotte andavano però vendute, già ma dove, in Romania no di certo, il prezzo di un paio di scarpe equivaleva al salario mensile di un operaio,  le esportazioni in Usa e in Nord Europa languivano.
    E in Italia, il suo mercato d’elezione perché non vendeva?
    Il nostro imprenditore non era stato l’unico ad avere la geniale idea di cercare paesi dove trovare il maggior profitto al minor costo possibile, erano decine, centinaia di nostri patrioti connazionali, che forse tifano Italia ai mondiali, si commuovono alle note dell’inno di Mameli, ma davanti al profitto non c’è sentimento di Patria che tenga. E così avevano contribuito ad immiserire la loro terra, avevano aperto la strada ai cinesi nel mercato italiano, già perché l’operaio in cassa integrazione, o disoccupato o sottopagato acquista scarpe e magliette cinesi, forse meno belle di quelle italiane ma sicuramente più abbordabili dal punto di vista economico.
    Non so se questa storia sia vera ma sicuramente è verosimile.

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